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Ivan Zazzaroni, direttore del Corriere dello Sport, interviene sulla speciale 25a edizione dell’Annuario della Stampa Sportiva Italiana (USSI).

“I mali del giornalismo degli ultimi venticinque anni sono l’impreparazione (al futuro) e la preparazione (universitaria): invenzioni quali la facoltà di Scienze della Comunicazione hanno trasformato quello che era un mestiere in una professione, al punto che oggi l’Ordine conta oltre centomila iscritti, in massima parte disoccupati per assenza di posti o crisi di giornali. 

È appena uscito un libro su Ennio Flaiano che racconta con mille dettagli il “mestieraccio”, quello banalizzato dagli intellettuali che ridono dei “giornalisti da marciapiede” e protendono lauree come armi specializzate che non sparano, né spaventano.

Fino agli anni Ottanta il giornalismo era il Quarto Potere che poteva anche ridere di se stesso (Longanesi diceva: il bravo giornalista è quello che spiega agli altri tutto quello che non ha capito) ma faceva tremare gli altri tre poteri: civile, militare, religioso. Nello sport l’informazione era in mano ai giornalisti, l’apertura alla comunicazione ha fatto nascere gli opinionisti. I giornalisti di base hanno stipendi da fame e regole ferree, non possono fare pubblicità, ad esempio, mentre gli opinionisti meglio pagati possono sfruttare il loro ruolo anche per svolgere preziose attività pubblicitarie.

La professione giornalistica è esclusiva, ogni altro professionista – insegnante, magistrato, politico, funzionario, scrittore, pittore, cantante, attore, atleta, pilota – può fare il giornalismo. Il vero esame venuto a mancare è quello di Lingua Italiana. Gli analfabeti che scrivono hanno moltiplicato gli analfabeti di ritorno, ovvero i lettori che non leggono. Soprattutto in Italia dove una lingua preziosa sta diventando la bastarda lingua dei social e dei blog.

L’impreparazione al futuro, ovvero alla concorrenza della rete, si nota nel linguaggio ma soprattutto nella dipendenza dei giornali dalla stessa, dai social. 

La prima cosa che dico ai giovani che mi chiedono come diventare giornalista – cosa, non consiglio: non amo darne, né riceverne – è di non seguire i modelli attuali, che sono perdenti. La seconda, di mettere la passione in circolo e tentare tutti i percorsi: carta, web, radio, tv. 

Non so cosa sarà questa (purtroppo) professione tra dieci anni: il giornalismo che ho conosciuto e frequentato con soddisfazione e sacrifici era fatto di viaggi, incontri, confronti, rapporti, antipatie, invidie, nemici, amici. Oggi la rete e la crisi hanno sensibilmente ridotto le occasioni, ovvero le trasferte e i rapporti diretti. Si fa tutto al computer, si raccoglie e rilancia.

Negli ultimi 25 anni, poi, i “vecchi” hanno pensato all’orticello, piuttosto che alla formazione delle nuove generazioni. Sono spariti i maestri”.

 

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